Alcuni sono elevati dal loro lignaggio
i versi dei miei poemi sono il mio lignaggio
Nusayb ibn Rabah (m.726)

La vita è come noi
La troviamo - e così la morte
una poesia d'addio?
Perché insistere
Daie-Soko (1809-1163)

Il rimorso non è la prova del crimine, indica solamente un'anima facile da soggiogare.
Donatien-Françoise-Alphonse De Sade

Se le creature sono i grandi veli che ci separano dal Creatore, la via per Allah passa attraverso di esse
Sheik Mhuammad at-Tàdilì

Le parole che dice chi è felice
son volgare melodia –
ma quelle che chi tace sente dentro
sono meravigliose.
Emily Dickinson

Non è grazie al genio ma grazie alla sofferenza, e solo grazie ad essa, che smettiamo di essere una marionetta.
Emil Cioran


giovedì 31 gennaio 2013

Respirare

Vi siete mai fermati a respirare? 
Non sto scherzando, ve lo chiedo sul serio...

L'avete mai fatto?

Avete mai mandato a fanculo la casa, la scuola, i libri, le pulizie, la retorica del dover fare solo e soltanto allo scopo di fermarvi e respirare?
E' difficile, non ci siamo abituati. Per certi punti ci sembra quasi un peccato mortale, una terribile parentesi di ozio di fronte al nostro ego così ingarbugliato fra gli impegni di ogni giorno.

Perché si sa no? Noi DOBBIAMO impegnarci, lavorare, produrre. Fin da piccoli tutti quanti ci insegnano che l'unico modo per avere fiducia in noi ( Deleterio. La fiducia è un istinto, non dev'essere insegnata) è ESSERE qualcuno, FARE qualcosa, DETERMINARSI attraverso le nostre azioni.

Devi crescere ragazzo...devi essere più diligente ragazzo...

" We don't need no education
We don't need no tought control"

Ma io ci sono sempre morto, dietro a questi postulati. Sempre l'ultimo degli scemi, il meno considerato. Sempre il deviante che doveva recuperare qualche materia, chiedere scusa per i ritardi, discutere per difendere una sensazione profonda ed inspiegabile di libertà e di giustizia.
Sì. Ho detto proprio così: libertà e giustizia.
Perché, che lo vogliamo o no, tutti questi bei fronzoli, questi grandi discorsi da creature integre e sapienti, non sono altro che una mera, raziocinante creazione. Non ci rendono liberi, al contrario, e tanto meno possono essere giudicate universalmente giuste.

" Ehy, Teacher!
Leave the kids alone!"

Mi chiedo perciò, vi siete mai fermati a respirare?
Era da un bel po' che io non lo facevo.

Forse da bambino, quando ancora potevo definirmi una persona giudiziosa. Quando la nevrosi del vivere non era ancora penetrata nel mio corpo masticandomi il midollo.

Forse in qualche vita passata...

Ma sta di fatto che  mi sono fermato. E sta di fatto che, dopo tre anni di profonda apatia, dopo le lotte e la caligine, mi sono sentito felice. Felice e beato, di un'allegria fresca, genuina, figlia della coscienza e non di qualche munifica secrezione ghiandolare...

Felice, estasiato.

Per qualche secondo, ho quasi sentito il mio corpo dissolversi. Ho avvertito lo stupore di esistere, l'amore per ciò che si è nel profondo.
Per la prima volta ho visto le mie mani, queste mie mani così complesse, delicate. Una matrice di ossa e pelle che si protende in cinque, maestose appendici. Una meraviglia prensile, simile a un piccolo albero e screziata di linee e squame.

Le mie mani...
Le braccia, le gambe, il mio torace.

Tanta fatica a definire il Bello quando è sempre stato a portata di mano. 
Tanta fatica a cercare la poesia...

Non so se avete mai notato quanto il suono del respiro sia poetico, quanto sia musicale.
O quanto sia commovente il battito del cuore...

E le cellule? Avete mai pensato a quanto è dannatamente stupendo il fatto che noi, in fondo, oltre il visibile, non siamo veramente noi?
La nostra unità materiale è determinata dall'azione, dal ricambio continuo di miliardi e miliardi di cellule, dal loro manifestarsi e morire, dalla loro apoptosi interminabile. Noi non siamo solo il corpo, siamo queste cellule. La vita non termina con noi, anzi, da questo punto di vista noi, i sovrani del mondo, la razza superiore,  siamo poco più di  niente.

Siamo energia agglomerata, materia in procinto di rarefarsi. 

E=mc²



E per la prima volta vedo il cielo, per la prima volta le case, l'energico tordo, l'erba selvatica. 
Non so spiegarlo, ma in qualche modo è come se le capissi, se mi identificassi con loro. 

So di avere ancora una coscienza, che i miei pensieri sono miei. Mi è ancora chiaro chi sono.
Eppure...

<< Io sono un noce nel parco Ghiunlkhan
Ma né lai polizia né tu lo sapete>>

Io sono il ciliegio del giardino di casa, ma né le mie certezze né il mio pianto lo sanno.
Per un secondo il vento che spira, la saggezza...

Avete mai respirato?
Carpito a pieni polmoni, amoreggiando con il mondo.
Annusato l'etere, infranto i limiti degli spazi infra-atomici.

Io respiro, stamattina, e l'universo è una noce di burro odorosa. 
E la mia gioia lo scioglie, cosparge di pace il veleno del mondo.

E sparisce la scuola, spariscono i doveri. 
I sensi di colpa e le frustrazioni.
Tutto sparito...

Io sono il ciliegio del giardino di casa.
Ma né le mie mani, né  i miei polmoni lo sanno. 


La mia testa è una nuvola schiumosa,
il mare è nel mio petto.
Io sono un noce nel parco Ghiulkhan,
cresciuto, vecchio, ramoso - guarda! 
ma né la polizia né tu lo sapete.

Io sono un noce nel parco Ghiulkhan.

E le foglie, come pesciolini, vibrano dall'alba alla sera,

frusciano come un fazzoletto di seta; prendi,

strappale, o mia cara, e asciuga le tue lacrime.


Le mie foglie sono le mie mani, centomila mani verdi,

centomila mani io tendo, e ti tocco, Istanbul.

Le mie foglie sono i miei occhi, e io guardo intorno,

con centomila occhi ti guardo, Istanbul.


Le mie foglie battono, come centomila cuori.

Io sono un noce nel parco Ghiulkhan,

ma né la polizia né tu lo sapete.


[ Nazim Hikmet - Il noce,1957]



Ascolto abbinato

Mike Dawes - The Impossibile











lunedì 21 gennaio 2013

Leitmotiv

                          <<Allora urlerò ciò a ciò    
                                                   che resta . Con il poco sangue rimasto
                                        ridotto al vuoto della scissione
                                      nucleare, corro velocissimo>>
                                           - Shinkici Takahashi, Esplosione-

                           << Cosa, cosa rimane del poeta sotto la grandine della 
                                                                                     concretezza?>>
                                                            - Sergio Soldani, Il cuore sperò -

Amici miei,
le verità non hanno un cuore!
Così sottratto vaga l'uomo
così pesante come montagne

Fra queste remore vischiose 
troppi acciacchi
in un licore invernale 
bianche parole senza gambe                  


Con che baldanza incoronare
colti epitaffi alla coscienza?
così sottili, marcescenti
con che candore vi avanziamo?                                 

E non vi allarma amici miei
Il nostro spirito avvilito ?
come sondare la pazzia,
la nostra forza campionata?

Non ha più suono il pendio in fiore
perduti siamo, arditi e stanchi
Accumulato tra le tombe un canto                                
la cieca polvere                                                              
                                                      
E il mondo in fiamme non consola
non trova pace l'aspra cenere,
nella mia astratta anatomia
alcuna frigida parvenza

Di me soltanto un cielo vitreo, 
il giglio storpio
questa certezza abbacinata 
e un velo di lacrime


Joan Mirò - Senza titolo


<<Desine ed quoquam quicquam bene velle mereri
aut aliquem fieri posse putare pium
Omnia sun ingrata, nihil fecisse benigne
Prodest, immo etiam taedet obestque magis,
Ut mihi, quem nemo gravius nec acerbius urget
Quam modo qui me unum atque unicum amicum
                                                         [habuit>>

[Gaio Valerio Catullo -Canti, LXXIII]

[ Non sperare mai più di meritare affetto nel mondo,
non crede mai più che qualcuno sia giusto.
Tutto è ingratitudine. Il bene che hai fatto
non serve. Anzi ti pesa, ti contrasta.
Così a me, nessuno mi perseguita a fondo
come chi mi ebbe il solo e unico amico suo]


Ascolto abbinato

 Gary Jules - Mad World




sabato 19 gennaio 2013

La bonheur a marché avec moi

"<<Grazie cittadino per la tua buona parole umana. Che cosa vuoi che ti restituisca?" >> Gridai: <<NIENTE>>. E fu allora che capii la grandezza della parola niente. Pensai che tutte le parole sono umane e che di tutte non resta nulla. Fui preso da una collera senza scampo contro la morte inumana. " Un fatto biologico!" mi ripetevo. " Valentina, dove sei?" Rimpiangevo i canti della chiesa, biologia del nulla. Sragionavo. Aprii la grande enciclopedia alla parola Morte. L'enciclopedia diceva: " Cessazione delle funzioni vitali, disgregazione dell'organismo...". Quegli articoli stampati erano morti. Materialista come sono, aprii altri volumi, con vergogna, alla parola Eternità. Frasi morte come le altre...Ecco cosa portavo in me, nelle pieghe dei miei neuroni dove si fissano i ricordi -

Victor Serge, Anni Spietati, pag.37, 1946


 
 
 
Sono le quattro del pomeriggio. Il mio stomaco è pieno, la mia mente satura.
Dubbi, non li voglio accettare. Non voglio sublimarli, come sempre, dentro gabbie di pensiero troppo austere e razionali, troppo precise per la mia caduca, imperfetta natura terragna.
 
Mi rifiuto.
 
Queste paure, queste pressioni del Tempo su di me, questo passato che torna all'avvenire. Questi terribili ammassi di insipienza che mi concedono il benedicio del Vuoto.

Chi me lo fa fare in fondo? A quale scopo scorticarmi l'anima?

Ed alle quattro del pomeriggio così, mi abbandono sul divano. Allo stereo uno Chopin triste, pareidolie di semicrome.
Come se non avessi mai fatto altro, apro un libro di Victor Serge.

Victor Serge, il bolscevita di Bruxelles. Così languidamente acuto, così tristemente rapito nel suo intrinseco sospetto per l'umanità...
Un prosaismo ipotattico, nevrotico, antesignano della frenesia contemporanea.

Un susseguirsi di impressioni languide ma acute, colme di significati e vagamente sconnesse.
L'indecisione, la frustrazione di Sasa - o agente segreto (disertore) D. - un contenuto ribelle.
 
 
 
 
<< D. si rilassava. Un avvenire simile a quei viali. Non volere nulla, non aspettare nulla, nulla temere. Non appertenere a niente, nemmeno a se stesso. Non tenere più a nulla. Non essere più la molecola pensante di una collettività formidabile, accanita, lucida, tesa da una tale volontà che ha finito di sapere che cosa fa.>>

Non appartenere...sentirsi completamente, irrimediabilmente privi di appoggio.

<<Sono dunque scoraggiato fino a questo punto? Divento un personaggio da romanzo intellettuale. Tutto si stacca da me, tutto.>>

Privo di appoggio, sollennemente incompleto. Esautorato con violenza dal limaccioso grembo dell'approvazione altrui, della materna e pretenziosa società occidentale.

Il tempo solo di pensare a tutto questo, che già altre parole mi sconvolgono l'anima.

<<Il fascino delle società occidentali, così resistente all'analisi, la sensazione di un mondo incosciente, che ignora la fame, il terrore, lo sfinimento, l'entusiasmo ascetico e glaciale che, solo, conferisce un senso al quotidiano: il benevolo lasciar vivere di un mondo meschinamente ragionevole, piacevolmente sessuale, che scivola giorno per giorno verso l'apocalisse>>

L'apocalisse...alzo lo sguardo un attimo. Lo stereo, Chopin, il Notturno n.20. Estasi e panico. Per me questa è l'apocalisse.
 
 

 
 
<<Il piacere amaro del corpo a corpo con le catastrofi pronte a balzare dall'invisible sui titoli di prima pagina dei giornali, il gigantesco intrigo che coinvolge i paesi - dipinti su un foglio di quaderno coi colori dell'acquarello - nelle reti dell'informazione e della controinformazione>>

I miei polmoni si riempiono, rilascio l'aria in un sospiro. Crediamo di scegliere, di sapere in cosa credere. Viviamo in un mondo Oraziano di polvere ed ombra, di illusioni e convinzioni preconfezionate che nulla e nessuno risparmiano.

Rassegnazione.

<<La convinzione di essere, tuttavia, per miserabili che siamo!, di essere i più chiaroveggenti, i più umani,sotto le nostre corazze di spietatezza scientifica, e per questo i più minacciati, i più fiduciosi nell'avvenire del mondo...e pazzi di sospetto! Ah,tutto ciò che si stacca da me, che cosa restera di me?>>

Cosa resterà di me? Di noi? Cosa.
Una tisana fumante sul tavolo, la luce elettrica sul muro.

Guardo il mio gatto e penso che anche lui, da una parte, è troppo certo di Essere. Essere per sempre. 

<< Come diceva il Vecchio? La direzione ci sfugge di mano, il dominio di noi stessi ci sfugge...A questo punto il pensero si oscura, la Storia è forse molto più difficile a penetrarsi di quanto abbiamo creduto con le nostre tre dozzine di buone formule materialistiche. Probabilmente mi uccideranno presto.>>

Uccideranno lui, e noi stessi uccideremo noi stessi. La nostra forza impazzita, autodistrutta.

<<Dico che la distruzione dei migliori è il peggiore dei crimi, il peggiore delle follie. Se la potenza si rivolge contro se stessa e comincia ad autodistruggersi con accanimento, io sono contro di lei,. Essa sopravviverà, io perirò, lei ha ragione contro di me...Può sopravvivere se si divora, se soffre di un'alienazione sino ad oggi sconosciuta? E sopravvivendo, se si rinnega, la potenza cambia volto e fini? Allora, sono fedele rinnegandola, ma è puro idealismo, non senso pratico>>

Idealismo...abbiamo senso senza le idee? E' stato davvero così astuto gettarle via? Abbandonare le nostre stampelle?

Qualcosa prude nelle mia coscienza.





 
 

<< Che cosa è la "coscienza"? Un residuo di credenze inculcate a cominciare di tabù primitivi fino alla stampa a grande diffusione? Gli psicologi hanno trovato per queste impronte profonde un termine appropriato: il super-io, dicono... Non ho che la coscienza da invocare e non so che cosa sia. >>

E nonostante la mia calma lettura, nella mia essenza mi contorco agitato. Perché? Perché nascere? Rinchiudere il mio spirito in queste mura di atomi, clausrofobiche, anguste.

<<Sento una protesta inefficace sorgere in me da una profondità che ignoro, per sfidare l'efficacia distruttrice, la potenza, la realtà materiale intera, in nome di che cosa? L'illuminazione interiore? Mi comporto quasi da credente. Non posso fare diverstamente. La parola di Lutero. Però il diavolo visionario aggiungeva: Che Dio ci aiuti!. E io, da chi sarà aiutato?>>

Da chi? Dall'amore, dall'unione? Dalla preghiera?
Spesso funziona, spesso no.

Oggi mi sento troppo cauto, stupidamente logico.
Ma anche troppo emotivo, puerlimente irrazionale.

<< L'unione è libera o è malsana. Non si domina la sessualità che con la ragione, dandola la parte che reclama da noi. Così, liberato dalle sue esigenze, si vive per gli atti dell'intelligenza e della volonta. La macchina umana ha bisogno di un buon apparecchio di controllo; da noi, i fisiologi - o i moralisti - lo chiamano freno. Il volersi sotrarre diminuisce l'uomo quanto il lasciarsi andare.>>

Sottrarsi, o lasciarsi andare.
Scegliere? Davvero?

Ognuno di noi è convinto di scegliere...



 
 
<<Si vive di nozioni circoscritte, dissecate in un erbario. Sotto l'urto finse di attenersi a questi luoghi comuni distrutti>>

Sono impietrito, commosso. Da una parte il leggere, dall'altra il non disperarmi. Ancora scelte, ancora dubbi.

E allora chiudo, serro le pagine, appena in tempo per godermi l'ultima traccia.

Fantasia in fa minore, impetuosa ma accogliente come una polluzione.
Una vitale ierogamia.

Ed i miei occhi sono lucidi, il mio stomaco tremante. Respiro, come nello Yoga.

Si può scegliere? Non ci è dato saperlo. E questo perché tutto, l'universo intero, non fa altro che oggettivarsi in noi, innamorarsi attorno a noi.

Quanta dannata poesia c'è in tutto questo? Quanto leggero distacco?
Quanto è armonioso l'errore umano?

Sto guardando le mie mani, e lo stupore mi cesella il cuore. Lo stupore sì, qualcosa di famigliare...

<<Ciascuno di noi si fabbrica una propria trappola; e quando vi cade, se ne stupisce...>>

Stupito, abbacinato. E' così dolce...

Così sordo pensare...

 


"Allons, mon pauvre coeur, allons, mon vieux complice,
Redresse et peins à neuf tous les arcs triomphaux;
Brûle un encens ranci sur tes autels d'or faux;
Sème de fleurs les bords béants du précipice;
Allons, mon pauvre coeur, allons, mon vieux complice.

Pousse à Dieu ton cantique, ô chantre rajeuni;
Entonne, orgue enroué, des Te Deum splendides;
Vieillard prématuré, mets du fard sur tes rides;
Couvre-toi de tapis mordorés, mur jauni;
Pousse à Dieu ton cantique, ô chantre rajeuni.

Sonnez, grelots; sonnez, clochettes; sonnez, cloches!
Car mon rêve impossible a pris corps et je l'ai
Entre mes bras pressé : le Bonheur, cet ailé
Voyageur qui de l'Homme évite les approches,
— Sonnez, grelots; sonnez, clochettes; sonnez,cloches!

Le Bonheur a marché côte à côte avec moi;
Mais la FATALITÉ ne connaît point de trève :
Le ver est dans le fruit, le réveil dans le rêve,
Et le remords est dans l'amour : telle est la loi.
— Le Bonheur a marché côte à côte avec moi."

( Paul Verlaine - Nevermore, Poèmes saturniens, sez.Caprice, VI - traduzione nei commenti)

 
Ascolto abbinato

Fryedryk Chopin - Nocturne n.20 in C sharp minor
 
 





La prima cicala

 
La prima cicala
la vita è
crudele, crudele, crudele
Issa ( 1763 - 1827)


La vita è crudele.
E la crudeltà ci rende insatibili, inconsistenti. Astratti.

Ma è la terribile giustezza del cosmo. La soffrenza abbacinante che colma e completa il nostro mondo.
Il rauco contrasto senza il quale ogni cosa di noi, attorno a noi, risulterebbe troppo piatta per avere uno scopo.

Nuvole di zanzare-
tutto sarebbe spoglio
senza di loro

E' il coprirci gli occhi, il celare al nostro essere la raggelante morsa di un suggerito, rabbioso demone interiore.
Non scordare:
Noi camminiamo sopra l'inferno
guardando i fiori


E' combattere senza riserve, sopravvivere; senza mai liberarsi della propria debolezza. Della comune, radicata, necessaria limitatezza umana.

Sopravvivere
a tutto,a tutti -
Che freddo!

La vita è crudele. Tanto crudele da essere bella, tanto bella da far piangere.

E Dio...dio se fa piangere...



Pieter Brugel il Vecchio - La caduta di Icaro
 
(Tutte le poesie qui riportate sono di Issa)
 
 
Ascolto abbinato

Hans Zimmer- A way of life
 



Asimov e l'angoscia esistenziale. Riflessioni

La "bellezza meccanica" è stato uno dei temi più ricorrenti dell'intera opera avanguardistica del Marinetti, che contrapponeva al sublime romantico e classico una sorta di nuovo canone artistico basato su di una frenesia crudele, onnipresente ed innovativa. Egli sovvertiva la comune concezione del mondo contrapponendo alla natura "passiva e molle" una nuova energia tutta tecnologica ed industriale, anticipando di gran lunga la modernizzazione contemporanea.

In pratica, si sostiene che attraverso le macchine l'uomo potrà abbandonare completamente ogni suo recesso animale, evolvendosi verso una forma di esistenza - a detta dell'artista - superiore perché priva di sentimenti, "bassezze" sessuali e paure. Perché violenta e spietata quindi lontana da qualunque forma di attaccamento e pulsione istintiva.

Il futurista quindi, rifiuta del tutto la natura umana.

 


 
E' una pazzia? Sì che lo è, porca miseria ! Ma a pensarci bene, la loro utopia così distopica non era poi andata tanto lontano da quello che noi, al giorno d'oggi, abbiamo realizzato.

Certo, nessuna ibridazione uomo-macchina per ora, nessun cyborg assetato di sangue,ma quel lento processo di snaturazione dell'essere iniziato con la nascita della società patriarcale e continuato fina ad ora sta arrivando non troppo lontano da toccare il suo culmine...

L'uomo ha rifutato la natura.
Ha perso il contatto con la natura.

E perdendo il contatto con la natura, ha perso anche la dimestichezza col suo corpo. E con il suo corpo, ha perso ben presto anche la naturale simbiosi con la sua anima.


 
 
Ci avete mai pensato?
Non è deleterio che una persona abbia paura di mostrarsi come in effetti è stata creata, che la fobia di esibire la propria nudità ( e qui un pensiero va automaticamente allo scandalo Femen) o di non reprimere biecamente la propria sessualità siano sintomi di una pura e semplice nevrosi collettiva? Che coprire non solo noi, ma anche il mondo attorno a noi ( con il cemento, con i centri commerciali), sia una prova evidente della paura che abbiamo delle nostre parti più profonde e sincere?

Eppure è così, la "bellezza meccanica" ci ha ammaliato a tal punto da allontanarci da tutto ciò che prima possedevamo, da spingerci a ferirci e a tartassare il nostro fisico con prove assurde di castità e buon costume, di fedeltà a una morale o ad uno Stato che non ci ama.

In qualche modo gli scrittori del 900 inoltrato ci avevano messo in guardia da tutto questo. Wells, Huxley, Ballard...ma più di tutti , forse, ce n'è stato uno che ha avuto un ruolo chiave in questa sorta di messa ai ripari, di precauzionismo anti-progressista. Sto parlando del russo Isaac Asimov.
 
 
 
Asimov è stato di certo uno fra i più abili e sottovalutati scrittori della neo-nata era consumistica, e non solo per il suo valore letterario. L'importanza di Asimov sul palcoscenico del suo tempo sta soprattutto nel fatto che egli non era solo un letterato, ma prima di tutto un biochimico, un uomo di scienza.

Egli non aveva solo la splendida capacità di comprendere l'animo umano e descriverlo con un'incredibile capacità di sintesi, ma era anche direttamente interessato a quell'ondata di ottimismo verso la macchina che ci spingeva a costruire ed inventare sempre nuovi modi per trasformare il mondo.

Asimov però, non era uno scienziato qualunque: aveva in sé il nerbo dello scrittore ed il dono dell'introspezione. Nell'amore per il progresso egli stesso non aveva visto niente di buono e molti dei suoi racconti sembrano volercelo comunicare...

A parte ne "il ciclo della fondazione", che meriterebbe un discorso a sé, la poetica asimoviana sembra essere pervasa da una sorta di continuo contrasto passione/diffidenza verso la scienza, che ne esalta i pregi ma ne delinea anche i limiti.

Mentre i suoi colleghi credevano di poter rendere l'uomo un'enità semi-perfetta e fedei, in "Neanche gli Dei" l'autore metteva in luce uno scenario in cui una scoperta casuale da parte dell'inetto Dr.Hallam varrà a quest'ultimo fama e gloria, portando all'invenzione di una macchina, la Pompa, capace di fornire energia infinita al mondo intero attraverso una sorta di ineterscambio molecolare ( sto improvvisando...) fra il nostro universo ed un suo parallelo. La fiducia nella scienza quindi, i suoi indiscutibili benefici...
Ma quando la Pompa si rivelerà una minaccia per la razza umana, i collaboratori di Hallam si rifiuteranno di divulgare la notizia sia per non rinunciare ai loro privilegi, sia per non contraddire il loro capo, amato dalle masse e capace di rovinare la loro reputazione. La scienza si fa fragile e fallace, demolita facilmente dai capricci e dalle debolezze della natura umana.

Molto affascinanti le caratteristiche degli abitanti del cosidetto para-universo, le triadi, esseri gassosi divisi in trè distinte entità ( emotiva, paterna e razionale) ma soprattutto dei Lunariti, umani eredi di un'antica colonia lunare terrestre che sembrano simboleggiare proprio la superiorità della simbiosi uomo-natura sulla tecnologia. Se i terrestri infatti sembrano ingarbugliarsi nel gomitolo dei loro stessi errori i Lunariti appaiono come pervasi da una sorta di pacata armonia che li spinge a girare spesso nudi e a possedere un'acuta intelligenza.

Il senso di disagio che Asimov prova nei confronti della crescita scientifica e l'angoscia della ricerca dell'Io profondo si ritrovano anche in racconti come " Una così bella giornata" o " Mosche". Narrazioni di età avanzate, dove la tecnologia ci permette di non uscire più di casa o di comprendere le emozioni animali. Scenari in cui la sicurezza si trasforma in danno e distorce la percezione della reltà e fare qualcosa come una passeggiata o reincontrare vecchi amici diviene un atteggiamento anomalo, stigmatizzato dalla società, o una malauguarata fonte di sofferenza.

Asimov era infatti un fine sociologo, e non mancano mai riferimenti alla credulità delle masse, alla rigidità del conformismo e al tema dell'escluso verghiano.

Emblematico il racconto breve "Playboy e il Dio limaccioso", dove due esseri umani vengono rapiti da una razza aliena aracnoforme che comunica soltanto per variazioni cromatiche e si riproduce per via assessuata. Alla ricerca di possibili razze pericolose per loro, questi extraterrestri velatamente imperialisti solcano lo spazio-tempo analizzando ogni possibile pianeta abitato.

Extraterrestri, ma così umani. Così umani nella loro fobia di essere distrutti, nel loro attaccamento alle cose. Così umani nella loro incapacità di comprendere una razza così diversa dalla loro, che fa l'amore per riprodursi ed è disgustosamente "priva di muco sulla pelle".

Così umana l'incredulità del generale Garm, quando incalza: "E' ridicolo. Germogliare è la più sacra, la più personale funzione del cosmo. Su decine dimigliaia di mondi è così. Levuline, il grande foto bardo, diceva: In tempo di gemmazione, in tempo di gemmazione, la dolce, meravigliose stagione".

Così umano vederli attaccati alla loro cultura e conoscenza, così confusi di fronte alle nostre interazioni, di fronte ai loro fallimentari tentativi di fare accoppiare due sconosciuti rapiti a caso. Così umano vederli disgustati e riluttanti di fronte ad una realtà che non conscono...

E così umana, infine, l'incapacità di Botax ( lo scienziato di bordo) di provare la nostra pericolosità. Di far capire che nel nostro moltiplicarci ci differenziamo meglio costituendo dei terribili, potenziali avversari.

E anche qui allora, ritorna il dubbio di Asimov verso la scienza. Una scienza che non può attraversare i limiti della mente e delle differenze, che non è per forza universale.
Una scienza che, in quanto in mano a uomini ( e non solo), rimane una creazione imperfetta e risentirà sempre della nostra meravigliosa incompletezza, per quante volte possiamo spacciarla come obbiettiva.

Ed Asimov era un biochimico, un divulgatore scientifico e, peraltro, una persona rigorosamente pragmatica.
Quel profondo dubbio che sembrava incatenare la sua anima dev'essere ora più che mai preso in considerazione, abbracciato e compreso. Attraverso i suoi scritti, attraverso la sua sensibilità, dobbiamo poter formare in noi la capacità di non inchinarci ad alcu Dio ( tantomeno quello della ragione), e di scegliere sempre ciò che risponde al richiamo del nostro Essere, della nostra più antica e saggia natura
.
 
Ascolto abbinato

Vigil- Soundtrack tratta dallo splendido videogioco fantascientifico Mass Effect
 
 

"Io voglio, io voglio adagiarmi"

George Steiner l'aveva fatto notare chiaramente, e molto tempo prima di arrivare al nuovo millennio. Il XX secolo non ci ha resi orfani soltanto di Dio, ma anche dell'immortale ed inconfutabile dramma della tragedia. Orfani...
 
E' così ironico che per indicare la morte stessa del tragico si utilizzi una parola così tragica a sua volta, così desolante, Rimbaudiana ( Les Orphelins...che splendida poesia), ed altrettanto ironico è il fatto che nel tentativo disperato di eliminare tutti i suoi dolori l'essere umano sia riuscito a cancellare l'unica risposta efficace agli stessi.
 
 
 
 
Assieme alla tragedia, l'uomo ha perso soprattutto l'irripetibile possibilità di analizzare sé stesso, di riscoprirsi nella più completa solitudine. Si è ritrovato improvvisamente sprovveduto, senza alcun fondamento ideologico, e così ridotto ha dovuto inventarsi uno specialista, uno psicanalista che sbrogliasse questa matassa per lui...
 
Ma mi direte: ci sarà anche un lato positivo no? Insomma, tutto questo ottimismo dell'happy ending, questo incalzante positivismo che avrebbe dovuto renderci autonomi e liberi. La semplificazione imperialista, la negazione dell'ambivalenza umana...
 
C'è? Siamo sicuri? La verità, secondo me, è che siamo soli.
 
Quella che in Kierkegaard era una disperazione risolvibile almeno nella tensione religiosa, adesso ha perso qualunque possibile soluzione, quella che per Leopardi ( l'ultimo Leopardi, quello della speranza), avrebbe potuto correggersi attraverso l'unione fra gli uomini, è diventata la nostra condanna.
 
Siamo soli, Sia per costrizione, sia perché in fondo lo vogliamo.
 
Soli, soli fra gli altri e attorno agli altri. Incatenati alla nostre speranze, spiritualmente rissosi...
 
Soli...
 
 
E in questa triste consapevolezza, rivolgo il mio sguardo alla strada. Sotto di me una civilità morente, una vegliarda dal seno flaccido. Una vecchia capricciosa che mi sbadiglia in faccia.
Una realtà di ombre caliginose, che schiaccia i pensieri e li espaspera, crudelmente.
Soli...splendidamente soli.
 
Io osservo e mi addestro in questa vibrante desolazione, scavo a fondo, mi abbandono a ciò che trovo. Osservo, mi trasformo, scrivo di ogni cosa che ai miei occhi pare bella...così ammaliante...così gelosa di sè stessa...
 
Siamo soli sì. Soli... Ma così tanto commoventi...
 
Così meravigliosamente umani...
 
"Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com’ebro, e mi tócco,
non anch’io fossi dunque un fantasma.
 
Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l’anima!
io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.
 
Meglio a chi ’l senso smarrí de l’essere,
meglio quest’ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito"
 
[Giosué Carducci - Alla stazione in una mattina d'autunno, Odi Barbare, 49-60]
 
 
Ascolto abbinato
 
  George Friedrich Handel - Sarabande
 

Io faccio schifo, e tu?

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