<<Che farò ora? Che farò?
“Uscirò fuori così come sono; camminerò per la strada
“Coi miei capelli sciolti, così. Cosa faremo domani?
“Cosa faremo mai?”
L’acqua calda alle dieci.
E se piove, un’automobile chiusa alle quattro.
E giocheremo una partita a scacchi,
Premendoci gli occhi senza palpebre, in attesa che
Bussino alla porta>>.
Eliot, The Wasteland
La luce del giorno mi sfrangia gli occhi. Nella silente soavità del risveglio, rivolta il fulcro dei pensieri in postulanti, illuminanti tensioni apatiche.
E questa stanza che sorge dal nero è il nulla. Le sue appendici colorate, un nulla screziato di verde opaco.
"La parola dell'epoca nostra: il nulla"
Victor Serge, Anni spietati
Sono le sei del mattino.
Intrappolato in prigioni volubili, mi perdo nel legno e nel cemento. Trasformo, coerciso da un angoscia ibrida. E tutto il mio corpo non è che un'unica, formidabile costruzione frustrata.
"Un mucchio di frante immagini
/dove non batte il sole "
Eliot, The Wasteland
Angoscia ibrida. Epoca ibrida. Costruita su macerie di costipazioni, giunta al suo macabro epilogo.
Le nostre perversioni fratelli, sorelle...sono le nostre parole, il coronamento della fine?
Frammenti disperati, distorsioni emotive.
Si queste idiozie puntelliamo, storditi, le nostre vitali rovine.
[ Premetto che sono ben cinque anni che non scrivo un racconto. Cinque, rendetevene conto. Diverse frustrazioni e molteplici fattori invalidanti mi hanno progressivamente allontanato dalla prosa per spingermi a rifugiarmi sempre di più nella produzione poetica, tanto che ormai non credevo che avrei mai più scritto che non fosse pianificato in versi. Ma i fatti mi hanno contrariato, come potete vedere, e non so se esserne contento o spararmi in bocca. Ics Di Ics di.
E' stato facile? UN CAZZO! E' stato un travaglio tremendo. Abituato come sono a connettere le emozioni attraverso l'irrazionale, ritrovarmi a organizzare in modo logicamente decente tutte le parole da immettere nel testo ( ma quante diavolo di parole ci sono in un racconto?! Lo sapete?!...è da pazzi Cristo...) è stato peggio che cercare di defecare a testa in giù dopo aver ingerito due boccali pieni di antispastico.
A voi le conclusioni dovute...
A rendere più incasinato il tutto poi, si è aggiunto il fatto che questo non è un pezzo ( perché è solo un pezzo, dato che tutto veniva troppo lungo) di racconto inedito, ma di una vecchia bozza pivellistica che ho dovuto riadattare, riguardare e reincasinare più e più volte prima che la mia ossessione perfezionista decidesse che ne avevo tirato fuori qualcosa di decente.
Se avete il coraggio e la voglia di leggerlo quindi, siate clementi. Tenete conto che è la prima volta per me, e che se andate troppo forte magari mi fa male( verginità prosaica...interessante), e che questo è soltanto un esperimento - un tristissimo esperimento - per osservare le vostre reazioni.
Per quelli che invece, giustamente, hanno poco tempo e poca voglia , c'è una sfilza discreta di post qui sotto che non superano le venti righe. D'altronde chi cacchio se le viene a leggere più le mie stronzate se deve pure passarci delle mezz'ore?
Grazie dell'attenzione e buona ( si fa per dire...) lettura a tutti!
Pis e llov
Fabio]
[A noi le fasce / cinse il fastidio; / a noi presso la culla
/ immoto siede, e sulla tomba, il nulla]
Giacomo Leopardi – Ad Angelo Mai, quand'ebbe trovato il Cicerone della Repubblica; 72 – 75 ]
Fagocitati dalla strada, passeggiavano lentamente. Dispersi in mute disattenzioni, sfumavano i sensi in una ricerca atroce ,
incapponivano in sguardi disattenti, smarrivano la strada in una pulsione feroce , tanto rude quanto
sognante. I loro sguardi si
intrecciavano, cozzavano fra loro, esacerbando idee insicure nell’accorata
ricerca di una tremenda, esasperata certezza sterile.
Certezza che, tra l’altro, rendeva facile individuarli in giro, gettando uno sguardo su una via qualunque di
quella Genova ingrigita dal fumo. Fra biechi stuoli di persone, i loro occhi
brillavano di verità perdute, di
antichità polverose e belle come speranze.
Posti su piani talmente differenti da risultare indecifrabili, questi
individui parevano pensare in costante contrasto con il comune senso sociale,
in uno scontro invisibile fra le
opposte necessità di conservazione personale ed istituzionale che rappresentano
quell’ Odissea infinita dalla quale, a quanto pare, non vi è alcuna speranza di uscita. E’ come infilare due massi in
una bacinella d’acqua, due compattezze incontenibili in un minuscolo spazio di
imperfettibile rigidità. E’ costringere
l’imponenza di un’anima ad una cruda e secca fissità di parole. E’ esortazione
a soffrire, a rifugiarsi dai propri simili...E’ quella flebile colpa tragica
che cicatrizza il cuore, che solo
i grandi e i mediocri avevano la saggezza di capire. O perlomeno così la
pensava uno di loro . Una gran testa di cazzo,
ad esser sinceri: un minchione, di quelli che ridono sempre e comunque,
in qualunque caso, e per amore della letteratura. Questo giovane, scioperato
diciottenne, dai voti buoni in filosofia, pessimi in matematica, tanto acuto in alcune cose quanto
completamente stupido in altre, qualunque cosa desiderasse fare non poteva che
accostarvi una scintilla di spensierata allegria, una sonora risata spesso, o
una più semplice, spontanea smorfia del suo viso smunto e scavato:
<< E’ salutare amici miei>>
diceva ai più << ridere rilassa
il diaframma, non lo sapete?>> E
strillava come un pazzo, nel dirlo. Urlava sbracciando, imitava lo scemo che
non sarebbe mai stato in mezzo alla folla benpensante : << La vita è
stupore>> affermava, se interpellato in merito: << uno stupore
riservato soltanto agli scemi, agli ubriachi, ai coraggiosi miserabili di
questa epoca spenta. Un’incredibile gioia che le vostre morali polverose hanno
ritratto e rinchiuso in un palazzo di leggi deleterie, e che vi uccide in
silenzio fin da quando siete nati. >> Parlava tanto, il ragazzo, e
persino nel parlare non smetteva di ridere:<< Non ti convince dici?
AHAHAHAH! Che cosa non ti convince? Te lo dico io amico! L’organismo della
civiltà si difende, ogni giorno combatte per la propria auto-conservazione,
e nessun’idea vagamente rivoluzionaria,
nessun audace alternativa sociale deve permettersi di intralciare questo
processo. Ecco cosa! Tu sei parte dell’organismo ! Tu hai paura delle
rivoluzioni, tu temi le alternative
sociali! E temi questa in particolare , perché è molto, molto pericolosa... Come in che senso? Ma è ovvio
dannazione! Abbandonare la serietà è un sacrificio immenso : mette in evidenza
tutte le grandi carenze del nostro patetico, nauseabondo sistema di valori.
Richiede un approccio sincero, troppo sincero, troppo poco serio per mantenersi
dignitoso...>> Parlava tanto e bene, e
in quelle sue labbra sorridenti nascondeva svelate tutte le più orribili
realtà della nostra penosa messinscena, del sanguinoso genocidio vitale che
l’essere schiavi ci ha tristemente serbato. E chi mai, fra quelle menti
intorpidite, avrebbe potuto accettarlo? Ci vuole forza a guardare dentro di sé, a toccare la propria
vana, personale illusione... una parvenza di caduta... Chi poteva tentare
? <<Evidentemente non chi dà
l’aria di farlo>> rispondeva
lui, a questa domanda, spesso formulata in calce ad un apologo borioso,
falsamente umanista :<< Ognuno ha i suoi limiti ragazzo, e ci sono
cose che l’uomo farebbe bene a non chiedersi...>>. Il giovane seminarista
lo osservava sudato. Le iridi nocciola erano schive, trafelate nella ricerca di
un qualche spunto concreto e logico, sicuro approccio contro i discorsi di
quell’ incauto ed immorale studentello:
<< Dio o non Dio, ciò che
dici non può che portare ad un’inevitabile degenerazione della morale umana
Albrecht, renditene conto. Questo
“patetico” sistema di valori, come tu lo definisci, è l’espressione di secoli e
secoli di inevitabile progresso spirituale che...>> << Progresso
spirituale?! Quale progresso spirituale Francesco? Quello che lentamente ci ha condotti alla solitudine? Questa
spaventosa paranoia della certezza? O forse l’etica e l’austerità? Pretesti,
tra l’altro, creati apposta per imbrigliare le nostre energie più
vigorose...Davvero puoi credere, dopo la lezione di quest’ultimo millennio, che
la tua adorata morale valga ancora qualcosa? Sono cazzate Francesco! Tutte
cazzate! Smettila di prenderti in giro...>> Ma Francesco non ascoltava. Soffiatosi il naso, aggiustò il
colletto della sua camicia piegata ad arte. Tossì lievemente, una volta,
portando le lunghe dita ossute ai capelli radi e grattandoseli con foga :<< Ma come puoi parlare così? Se
fosse per te vivremmo tutti in balia dei nostri istinti... Sì certo, basta fare
attenzione mi dirai...ma che differenza c’è fra questa tua deleteria ricerca di
contatto con la natura ed un bestiale abbandono ai piaceri dei sensi? Lo sanno
tutti che l’essere umano è insaziabile, non si accontenta mai! Bisogna domare i
propri desideri, schiacciarli, tenerli a bada attraverso l’ordine e la
civiltà!>> In risposta, ovviamente, Albrecht rise, adagiandosi al muro. Con una mano si aggiustò i capelli
neri, lunghi fino a metà delle orecchie, ed incrociando le braccia nude cercò di assumere una posa spigliata,
confortata dal riflesso del sole sulla
punta dei suoi anfibi di pelle nera :<< L’ordine eh ? >> abbassò il
tono di voce, istrionicamente :<< Vedi Fra...tu parti da un presupposto
tanto semplice quanto pregiudizioso...>> la gola del seminarista ebbe un lieve sussulto,
tradendo un nascosto moto di nervoso :<< Cosa intendi?>> <<
Beh vedi, in piena armonia con gli insegnamenti di qualunque monoteismo, tu dai
per scontato che l’istinto umano e la sua parte più...>> si fermò un
attimo, cercando il termine più adatto. Diede un’ occhiata attorno a sé. Piazza
De Ferrari ruggiva alla luce del sole, ingraziosita nello slancio di una
vezzosa attività primaverile: << ...più ferina, siano qualcosa di
necessariamente negativo, qualcosa di forzatamente maligno. E’ comprensibile
certo: da quando mondo è mondo l’uomo rifiuta ciò che gli è più affine, come la
merda, per esempio... ma non c’è alcuna
prova, nessuna, che il piacere abbia in
sé una qualche azione nociva sul nostro essere. Tieni conto che non parlo di un
becero libertinismo eh, ma della
semplice accettazione della propria essenza profonda, quella che puoi trovare
in ogni essere se abbandoni i
pedissequi deliri della metafisica, e tutte le vuote teorie dell’anima... ecco,
io credo che sia da questo, dalle teorie, che derivano i principali errori
della nostra razza, come così i suoi più biechi episodi, e le sue più grandi
sofferenze ...>> <<
Ma...come puoi dire...tu non puoi...Mi stai dicendo che i pensieri formulati da
centinaia di menti illuminate nel corso della Storia non valgono più niente
adesso? E poi come puoi fondare una grande società sugli istinti umani? Non ha
senso, non si spegne l’acqua col fuoco! Il sesso e gli eccessivi divertimenti nutrono soltanto la bestia che in noi,
cancellano la nostra dignità e ci rendono sporchi dentro...guardati intorno
Albercht, guarda questa generazione! Tutti così pigri, aggressivi,
ignoranti...per non parlare della loro libidine ! Non puoi pensare una cosa simile Albrecht, è un
pazzia...è...>> Era il vuoto assoluto, il suo vuoto assoluto. L’abbacinante tristezza di un intelletto
perso nei suoi argini, talmente severo da non riuscire nemmeno ad ascoltare
Hieronymus Bosch - Sette di Spade, Tarocchi
Quella figura macilenta ed
emaciata, segnata da profonde occhiaie, sciorinava i suoi discorsi in una salsa
ritrita, una retorica tanto triste quanto segnata da una bieca, desolante
carenza di profondità umana. Rassegnato, Albrecht alzò gli occhi al cielo,
nella tipica pantomima di chi, pur in mezzo agli altri, racchiude se stesso
nella sicura placenta della sua mente. Strinse le labbra, mentre i suoni della
strada e la voce dell’amico si assottigliavano in un delicato brusio. Il
vuoto... Sospirando, il ragazzo si sentì rapito da un turbamento insostenibile, un abisso di paura che lacerava ogni
certezza nell’intuizione di una gravosa, indecifrabile impotenza febbrile. La
sua immaginazione era morta, in quell’attimo, ogni desiderio dissolto nel
promontorio solenne che separava i sogni dalla realtà atroce, le intuizioni
spontanee dall’agghiacciante cinismo delle ideologie insegnate. Mesto, si
rifugiò nella poesia, soffocando la frustrazione nella ricerca mentale di un
qualche distico adatto al suo penoso stato d’animo. Cercò, per secondi e secondi. Trovò un Leopardi tremebondo, e
subito lo accolse in un sussurro frenetico: << A noi le fasce cinse il
fastidio>>. A noi le fasce, una condanna tediosa. Sussurrò un’ altra
volta, guardandosi attorno. Pensò che tutta la piazza, quella mattina, fosse tedio
condensato. La giovane donna con il bambino in culla, il vecchio invalido
appoggiato alle stampelle... un Bosch, pensò, di queste genti avrebbe dipinto
mostri; il suo cervello di ribelle invece, vedeva soltanto gusci vuoti, la
discendenza di un mondo troppo adulto per permettersi di sognare: << A
noi le fasce cinse il fastidio>> Chi avrebbe mai potuto capirlo? Chi
accettare tutto questo? Guardare dentro di sé...una parvenza di caduta. La
brillantezza di una mente, incubata in se stessa. Il genio incompreso, un’eco
di vigore. Un ragazzo dalle acute
risate, dai voti di merda, dagli amici di merda. Un giovane addestrato dalle
ore in biblioteca. Lui solo, probabilmente, poteva capirlo.
Io ci ho provato lo giuro. Ci provo ogni giorno. Essere qualcuno, qualcosa...pensare. Ma la mia testa è come reseda erbacea, trasforma il sangue e la mia mente, mi rende torbido e sornione. Non c'è più traccia di tensione nella mia testa. La mia testa è un piccione che dondola e brucia. Come in picciono vorrei alzarmi in volo e cadere in un luogo dove lo stagno sporco è tanto maestoso quanto le rocce calcareee. Dove l'unghia e il polmone sono ugualmente toccanti. Vorrei...vorrei tante cose... E allora perché sono ancora qui? Qui,dove le foglie crollano per morire. Qui, dove la sottana sorda del cielo non fa che ripetere lo stesso lemma da 19 lunghi anni: esistere, esistere esistere... Esistere e non saper scrivere. Non saperlo descrivere. Oggi non c'è spazio per me, sulla strada. Mi trovete in una terra di resina, a sciorinare preghiere vuote e a consumare le mie ciglia nel pianto.