Alcuni sono elevati dal loro lignaggio
i versi dei miei poemi sono il mio lignaggio
Nusayb ibn Rabah (m.726)

La vita è come noi
La troviamo - e così la morte
una poesia d'addio?
Perché insistere
Daie-Soko (1809-1163)

Il rimorso non è la prova del crimine, indica solamente un'anima facile da soggiogare.
Donatien-Françoise-Alphonse De Sade

Se le creature sono i grandi veli che ci separano dal Creatore, la via per Allah passa attraverso di esse
Sheik Mhuammad at-Tàdilì

Le parole che dice chi è felice
son volgare melodia –
ma quelle che chi tace sente dentro
sono meravigliose.
Emily Dickinson

Non è grazie al genio ma grazie alla sofferenza, e solo grazie ad essa, che smettiamo di essere una marionetta.
Emil Cioran


mercoledì 27 febbraio 2013

Fabio Lupis deve morire ( Sfogo # 1435060)

<< Sai solo fare il buffone...Il buffone su Internet. Il buffone nella vita...>>

E' perché dentro non ho niente, mamma. Tu non capisci.
E' perché sono stupido e vuoto...

E' perché voi sapete scrivere e vivere e dire belle cose, mentre io vaneggio e desidero morire.
Morire.Morire.Morire.

Hypocryte Lectuer...
Ecrivain...

Ignorante e nemico di me stesso.
Stupido.
Debole.
Ipocrita.
Buffone.
Falso.
IGNORANTEIGNORANTEIGNORANTE!

<< Hai paura del buio mezzasega>>

<< Non ti alzi? Devi andare a scuola Fabio! Devi vivere. Tu non sai vivere>>

"Anche gli dei si decompongono" - Nietzsche 

Bestemmierò fino all'alba i miei gracili dei di carta
e il greve sterco dei miei occhi vacillerà bruciando...

<< Se continui così non farai mai nulla...>>

Nulla. Niente

<< Non sai niente. Non fai niente. Studia di più! Non premerti quelle guance smorte...>>

Non sono niente.
Niente.
Niente.
Anatomie di vastità vertiginosa.
Muta. Silenziosa.
Annichilite sensazioni organiche.

<< Irresponsabile! Il mondo crolla gridando e tu scrivi poesie>>

Poesie di ovatta. Poesie sonore per combattere il suono.

<<Ormai è tardi ragazzo. Fai lo zaino che devi andare a dormire>>

Fai lo zaino, buffone.




Giudicatemi. Giudicatemi tutti.
Io esisto per questo.

Ascolto Abbinato

In Flames - Come Clarity

martedì 26 febbraio 2013

Io mi odio. Io vi odio.

 <<Che farò ora? Che farò?
“Uscirò fuori così come sono; camminerò per la strada
“Coi miei capelli sciolti, così. Cosa faremo domani?
“Cosa faremo mai?”
L’acqua calda alle dieci.
E se piove, un’automobile chiusa alle quattro.
E giocheremo una partita a scacchi,
Premendoci gli occhi senza palpebre, in attesa che
Bussino alla porta>>.
Eliot, The Wasteland

La luce del giorno mi sfrangia gli occhi. Nella silente soavità del risveglio, rivolta il fulcro dei  pensieri in postulanti, illuminanti tensioni apatiche.
E questa stanza che sorge dal nero è il nulla. Le sue appendici colorate, un nulla screziato di verde opaco.

"La parola dell'epoca nostra: il nulla"
Victor Serge, Anni spietati

Sono le sei del mattino. Intrappolato in prigioni volubili, mi perdo nel legno e nel cemento. Trasformo, coerciso da un angoscia ibrida. E tutto il mio corpo non è che un'unica, formidabile costruzione frustrata.  

"Un mucchio di frante immagini /dove non batte il sole "
Eliot, The Wasteland

Angoscia ibrida. Epoca ibrida. Costruita su macerie di costipazioni, giunta al suo macabro epilogo.

Le nostre perversioni fratelli, sorelle...sono le nostre parole, il coronamento della fine?
Frammenti disperati, distorsioni emotive.

Si queste idiozie puntelliamo, storditi, le nostre vitali rovine.
Esiste forse peggiore indolenza?

Io mi odio gente. Detesto la mia gola.
Io vi odio.



Alberto Savinio - Sodome, 1929


"C'è un piacere arido
diverso dalla gioia,
come il gelo è diverso dalla rugiada.
Sono elementi simili in realtà,

ma uno fa felici i fiori,
l'altro li spaventa.
Il miele migliore, una volta rappreso,
non vale più niente per l'ape."

Emily Dickinson 



Ascolto Abbinato

In Flames - The Chosen Pessimist


giovedì 14 febbraio 2013

Fastidio

[ Premetto che sono ben cinque anni che non scrivo un racconto. Cinque, rendetevene conto. Diverse frustrazioni e molteplici fattori invalidanti mi hanno progressivamente allontanato dalla prosa per spingermi a rifugiarmi sempre di più nella produzione poetica, tanto che ormai non credevo che avrei mai più scritto che non fosse pianificato in versi. Ma i fatti mi hanno contrariato, come potete vedere, e non so se esserne contento o spararmi in bocca. Ics Di Ics di.

E' stato facile? UN CAZZO! E' stato un travaglio tremendo. Abituato come sono a connettere le emozioni attraverso l'irrazionale,  ritrovarmi a organizzare in modo logicamente decente tutte le parole da immettere nel testo ( ma quante diavolo di parole ci sono in un racconto?! Lo sapete?!...è da pazzi Cristo...) è stato peggio che cercare di defecare a testa in giù dopo aver ingerito due boccali pieni di antispastico.
A voi le conclusioni dovute...

A rendere più incasinato il tutto poi, si è  aggiunto il fatto che questo non è un pezzo ( perché è solo un pezzo, dato che tutto veniva troppo lungo) di  racconto inedito, ma di una vecchia bozza pivellistica che ho dovuto riadattare, riguardare e reincasinare più e più volte prima che la mia ossessione perfezionista decidesse che ne avevo tirato fuori qualcosa di decente.
Se avete il coraggio e la voglia di leggerlo quindi, siate clementi. Tenete conto che è la prima volta per me, e che se andate troppo forte magari mi fa male( verginità prosaica...interessante), e che questo è soltanto un esperimento - un tristissimo esperimento - per osservare le vostre reazioni.

Per quelli che invece, giustamente, hanno poco tempo e poca voglia , c'è una sfilza discreta di post qui sotto che non superano le venti righe. D'altronde chi cacchio se le viene a leggere più le mie stronzate se deve pure passarci delle mezz'ore?

Grazie dell'attenzione e buona ( si fa per dire...) lettura a tutti!
Pis e llov

Fabio]

[A noi le fasce / cinse il fastidio; / a noi presso la culla / immoto siede, e sulla tomba, il nulla]
Giacomo Leopardi – Ad Angelo Mai, quand'ebbe trovato il Cicerone della Repubblica; 72 – 75 ]


Fagocitati dalla strada, passeggiavano lentamente.  Dispersi in mute disattenzioni,  sfumavano i sensi in una ricerca atroce , incapponivano in sguardi disattenti, smarrivano la strada  in una pulsione feroce , tanto rude quanto sognante.  I loro sguardi si intrecciavano, cozzavano fra loro, esacerbando idee insicure nell’accorata ricerca di una tremenda, esasperata certezza sterile.
Certezza che, tra l’altro, rendeva facile individuarli in giro,  gettando uno sguardo su una via qualunque di quella Genova ingrigita dal fumo. Fra biechi stuoli di persone, i loro occhi brillavano di verità perdute,  di antichità polverose e belle come speranze.  Posti su piani talmente differenti da risultare indecifrabili, questi individui parevano pensare in costante contrasto con il comune senso sociale, in uno scontro invisibile  fra le opposte necessità di conservazione personale ed istituzionale che rappresentano quell’ Odissea infinita dalla quale, a quanto pare,  non vi è alcuna speranza di uscita. E’ come infilare due massi in una bacinella d’acqua, due compattezze incontenibili in un minuscolo spazio di imperfettibile rigidità.  E’ costringere l’imponenza di un’anima ad una cruda e secca fissità di parole. E’ esortazione a soffrire, a rifugiarsi dai propri simili...E’ quella flebile colpa tragica che cicatrizza il cuore, che  solo i  grandi e i mediocri avevano  la saggezza di capire. O perlomeno così la pensava uno di loro . Una gran testa di cazzo,  ad esser sinceri: un minchione, di quelli che ridono sempre e comunque, in qualunque caso, e per amore della letteratura. Questo giovane, scioperato diciottenne, dai voti buoni in filosofia, pessimi in matematica,  tanto acuto in alcune cose quanto completamente stupido in altre, qualunque cosa desiderasse fare non poteva che accostarvi una scintilla di spensierata allegria, una sonora risata spesso, o una più semplice, spontanea smorfia del suo viso smunto e scavato: <<  E’ salutare amici miei>> diceva ai più <<  ridere rilassa il diaframma, non lo sapete?>>  E strillava come un pazzo, nel dirlo. Urlava sbracciando, imitava lo scemo che non sarebbe mai stato in mezzo alla folla benpensante : << La vita è stupore>> affermava, se interpellato in merito: << uno stupore riservato soltanto agli scemi, agli ubriachi, ai coraggiosi miserabili di questa epoca spenta. Un’incredibile gioia che le vostre morali polverose hanno ritratto e rinchiuso in un palazzo di leggi deleterie, e che vi uccide in silenzio fin da quando siete nati. >> Parlava tanto, il ragazzo, e persino nel parlare non smetteva di ridere:<< Non ti convince dici? AHAHAHAH! Che cosa non ti convince? Te lo dico io amico! L’organismo della civiltà si difende, ogni giorno combatte per la propria auto-conservazione, e  nessun’idea vagamente rivoluzionaria, nessun audace alternativa sociale deve permettersi di intralciare questo processo. Ecco cosa! Tu sei parte dell’organismo ! Tu hai paura delle rivoluzioni, tu temi le  alternative sociali! E temi questa in particolare , perché è  molto, molto pericolosa... Come in che senso? Ma è ovvio dannazione! Abbandonare la serietà è un sacrificio immenso : mette in evidenza tutte le grandi carenze del nostro patetico, nauseabondo sistema di valori. Richiede un approccio sincero, troppo sincero, troppo poco serio per mantenersi dignitoso...>> Parlava tanto e bene, e  in quelle sue labbra sorridenti nascondeva svelate tutte le più orribili realtà della nostra penosa messinscena, del sanguinoso genocidio vitale che l’essere schiavi ci ha tristemente serbato. E chi mai, fra quelle menti intorpidite, avrebbe potuto accettarlo? Ci vuole forza a  guardare dentro di sé, a toccare la propria vana, personale illusione... una parvenza di caduta... Chi poteva tentare ?  <<Evidentemente non chi dà l’aria di farlo>>   rispondeva lui, a questa domanda, spesso formulata in calce ad  un apologo borioso,  falsamente umanista :<< Ognuno ha i suoi limiti ragazzo, e ci sono cose che l’uomo farebbe bene a non chiedersi...>>. Il giovane seminarista lo osservava sudato. Le iridi nocciola erano schive, trafelate nella ricerca di un qualche spunto concreto e logico, sicuro approccio contro i discorsi di quell’ incauto ed immorale studentello:  << Dio o non Dio,  ciò che dici non può che portare ad un’inevitabile degenerazione della morale umana Albrecht, renditene conto.  Questo “patetico” sistema di valori, come tu lo definisci, è l’espressione di secoli e secoli di inevitabile progresso spirituale che...>> << Progresso spirituale?! Quale progresso spirituale Francesco?  Quello che lentamente ci ha condotti alla solitudine? Questa spaventosa paranoia della certezza? O forse l’etica e l’austerità? Pretesti, tra l’altro, creati apposta per imbrigliare le nostre energie più vigorose...Davvero puoi credere, dopo la lezione di quest’ultimo millennio, che la tua adorata morale valga ancora qualcosa? Sono cazzate Francesco! Tutte cazzate! Smettila di prenderti in giro...>>  Ma Francesco non ascoltava. Soffiatosi  il naso,  aggiustò il colletto della sua camicia piegata ad arte. Tossì lievemente, una volta, portando le lunghe dita ossute ai capelli radi e  grattandoseli con foga :<< Ma come puoi parlare così? Se fosse per te vivremmo tutti in balia dei nostri istinti... Sì certo, basta fare attenzione mi dirai...ma che differenza c’è fra questa tua deleteria ricerca di contatto con la natura ed un bestiale abbandono ai piaceri dei sensi? Lo sanno tutti che l’essere umano è insaziabile, non si accontenta mai! Bisogna domare i propri desideri, schiacciarli, tenerli a bada attraverso l’ordine e la civiltà!>> In risposta, ovviamente, Albrecht  rise, adagiandosi al muro. Con una mano si aggiustò i capelli neri, lunghi fino a metà delle orecchie, ed incrociando le braccia nude  cercò di assumere una posa spigliata, confortata dal  riflesso del sole sulla punta dei suoi anfibi di pelle nera :<< L’ordine eh ? >> abbassò il tono di voce, istrionicamente :<< Vedi Fra...tu parti da un presupposto tanto semplice quanto pregiudizioso...>> la gola  del seminarista ebbe un lieve sussulto, tradendo un nascosto moto di nervoso :<< Cosa intendi?>> << Beh vedi, in piena armonia con gli insegnamenti di qualunque monoteismo, tu dai per scontato che l’istinto umano e la sua parte più...>> si fermò un attimo, cercando il termine più adatto. Diede un’ occhiata attorno a sé. Piazza De Ferrari ruggiva alla luce del sole, ingraziosita nello slancio di una vezzosa attività primaverile: << ...più ferina, siano qualcosa di necessariamente negativo, qualcosa di forzatamente maligno. E’ comprensibile certo: da quando mondo è mondo l’uomo rifiuta ciò che gli è più affine, come la merda,  per esempio... ma non c’è alcuna prova, nessuna, che il piacere  abbia in sé una qualche azione nociva sul nostro essere. Tieni conto che non parlo di un becero libertinismo eh, ma  della semplice accettazione della propria essenza profonda, quella che puoi trovare in ogni essere se abbandoni  i pedissequi deliri della metafisica, e tutte le vuote teorie dell’anima... ecco, io credo che sia da questo, dalle teorie, che derivano i principali errori della nostra razza, come così i suoi più biechi episodi, e le sue più grandi sofferenze ...>>  << Ma...come puoi dire...tu non puoi...Mi stai dicendo che i pensieri formulati da centinaia di menti illuminate nel corso della Storia non valgono più niente adesso? E poi come puoi fondare una grande società sugli istinti umani? Non ha senso, non si spegne l’acqua col fuoco! Il sesso e  gli eccessivi divertimenti nutrono soltanto la bestia che in noi, cancellano la nostra dignità e ci rendono sporchi dentro...guardati intorno Albercht, guarda questa generazione! Tutti così pigri, aggressivi, ignoranti...per non parlare della loro libidine ! Non puoi  pensare una cosa simile Albrecht, è un pazzia...è...>> Era il vuoto assoluto, il suo vuoto assoluto.  L’abbacinante tristezza di un intelletto perso nei suoi argini, talmente severo da non riuscire nemmeno ad ascoltare




Hieronymus Bosch - Sette di Spade, Tarocchi


Quella figura macilenta ed emaciata, segnata da profonde occhiaie, sciorinava i suoi discorsi in una salsa ritrita, una retorica tanto triste quanto segnata da una bieca, desolante carenza di profondità umana. Rassegnato, Albrecht alzò gli occhi al cielo, nella tipica pantomima di chi, pur in mezzo agli altri, racchiude se stesso nella sicura placenta della sua mente. Strinse le labbra, mentre i suoni della strada e la voce dell’amico si assottigliavano in un delicato brusio. Il vuoto... Sospirando, il ragazzo si sentì rapito da un  turbamento insostenibile, un abisso di paura che lacerava ogni certezza nell’intuizione di una gravosa, indecifrabile impotenza febbrile. La sua immaginazione era morta, in quell’attimo, ogni desiderio dissolto nel promontorio solenne che separava i sogni dalla realtà atroce, le intuizioni spontanee dall’agghiacciante cinismo delle ideologie insegnate. Mesto, si rifugiò nella poesia, soffocando la frustrazione nella ricerca mentale di un qualche distico adatto al suo penoso stato d’animo.  Cercò, per secondi e secondi. Trovò un Leopardi tremebondo, e subito lo accolse in un sussurro frenetico: << A noi le fasce cinse il fastidio>>. A noi le fasce, una condanna tediosa. Sussurrò un’ altra volta, guardandosi attorno. Pensò che tutta la piazza, quella mattina, fosse tedio condensato. La giovane donna con il bambino in culla, il vecchio invalido appoggiato alle stampelle... un Bosch, pensò, di queste genti avrebbe dipinto mostri; il suo cervello di ribelle invece, vedeva soltanto gusci vuoti, la discendenza di un mondo troppo adulto per permettersi di sognare: << A noi le fasce cinse il fastidio>> Chi avrebbe mai potuto capirlo? Chi accettare tutto questo? Guardare dentro di sé...una parvenza di caduta. La brillantezza di una mente, incubata in se stessa. Il genio incompreso, un’eco di  vigore. Un ragazzo dalle acute risate, dai voti di merda, dagli amici di merda. Un giovane addestrato dalle ore in biblioteca. Lui solo, probabilmente, poteva capirlo. 



Grazie a tutti, ora potete insultarmi.

Ascolto abbinato

AFI - The Leaving Song 
part I and II





lunedì 4 febbraio 2013

Numero 7


La pesantezza. La fatica
Di esistere -
Piccione dondola e brucia
L’asfalto
 

Oscar Kokoschka - Il Cavaliere Errante


Io ci ho provato lo giuro. Ci provo ogni giorno.
Essere qualcuno, qualcosa...pensare.

Ma la mia testa è come reseda erbacea, trasforma il sangue e la mia mente, mi rende torbido e sornione.

Non c'è più traccia di tensione nella mia testa.
La mia testa è un piccione che dondola e brucia.

Come in picciono vorrei alzarmi in volo e cadere in un luogo dove lo stagno sporco è tanto maestoso quanto le rocce calcareee. Dove l'unghia e il polmone sono ugualmente toccanti.
Vorrei...vorrei tante cose...

E allora perché sono ancora qui?
Qui,dove le foglie crollano per morire.
Qui, dove  la sottana sorda del cielo non fa che ripetere lo stesso lemma da 19 lunghi anni: esistere, esistere esistere...
Esistere e non saper scrivere. Non saperlo descrivere.

Oggi non c'è spazio per me, sulla strada.
Mi trovete in una terra di resina, a sciorinare preghiere vuote
e a consumare le mie ciglia nel pianto.



[La poesia è mia, il resto delle mie dita]


Ascolto abbinato
 
Mogwai - Take me somewhere nice
 
 


Io faccio schifo, e tu?

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